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L’Asl Toscana sudest, la cosiddetta “Aslona” che ha assorbito l’ex Asl 9 di Grosseto, sembra diventata il nemico pubblico numero uno. Un’unica azienda sanitaria per le tre province di Grosseto, Siena e Arezzo, si dice, è troppo grande. E poi, sostengono i bardi del campanile, Siena si mangia Grosseto. Ci scippa il 118, ci prova con la chirurgia robotica. Ci marginalizza.
Poi ci sono i malumori popolari per le inefficienze: liste d’attesa lunghe, ricoveri troppo brevi, scarsità di posti letto, assistenza domiciliare inadeguata, pronto soccorso lento. Ai quali si aggiungono le doglianze, politicamente cavalcate, delle varie lobby professionali della sanità: medici ospedalieri, infermieri, personale ausiliario, medici di medicina generale, farmacisti.
Ognuno ha le sue ragioni, e tutti sparano ad alzo zero sulla Regione e sulla rivoluzione organizzativa che ha partorito l’Asl monstre. Quel che succede in Maremma, mutatis mutandis, riflette peraltro il clima conflittuale che c’è a livello nazionale.
Eppure, nonostante tutto, la sanità pubblica toscana – va riconosciuto – rimane a livelli di vertice, insieme a quella delle altre regioni del centro e nord Italia, e di qualche isola felice nel sud. Così come il Servizio sanitario nazionale, malgrado le difficoltà enormi in cui è impaniato, rimane al livello dei migliori health care systems dei paesi Ocse, del nord America e del Giappone.
Qui da noi, in definitiva, se hai un tumore, un problema cardiocircolatorio, un trauma, il sistema pubblico ti salva la pelle. Interviene e ti opera, accollandosi per tutti le spese enormi che la sanità privata chiederebbe di pagare solo a chi potesse permettersele. E tutto sommato funziona anche la prevenzione, con screening di massa che contribuiscono a contenere, spesso a diminuire, le morti per le patologie più diffuse. A partire da quelle tumorali.
Certo, le cose stanno progressivamente peggiorando: l’accesso universale ai servizi sanitari è sempre più in bilico. Per un verso cresce in modo preoccupante la spesa sanitaria privata, mentre per l’altro aumentano le persone che rinunciano a curarsi perché troppo costoso. Mentre nella percezione dei cittadini sta scomparendo dai radar l’umanizzazione delle cure, la presa in carico dei bisogni assistenziali successivi alla fase acuta. Con i 50.000 operatori del sistema sanitario sempre più incarogniti e distanti, stritolati dall’ingranaggio bestiale del leviatano costituito dalle tre grandi Asl regionali: Toscana sudest, centro e nordovest.
Sulla rampa di lancio, ma da troppo tempo in stand by, le soluzioni ci sarebbero. A partire, finalmente, da una più efficace organizzazione della medicina territoriale, che dovrebbe articolarsi intorno alle cosiddette “case della salute”, con la medicina d’iniziativa e un ruolo diverso dei medici di medicina generale. Ma anche in questo caso, il cambiamento auspicato è impaludato in acque limacciose.
Tutto questo, però, non è il vero problema, ma la sua conseguenza. Non si tratta di “benaltrismo”, di una scappatoia dialettica. Il problema, infatti, è che non può esistere sanità di vertice se la spesa sanitaria viene sistematicamente sottodimensionata. Per cui, finora, il fatto che a Grosseto, come in Toscana, continui ad esserci una sanità pubblica di vertice (con i suoi problemi) è oggettivamente già un miracolo.
I numeri, come sempre, aiutano a capire. Confrontiamo cinque paesi europei con sistemi sanitari omogenei e di vertice: Italia (60,6 milioni di abitanti), Francia (65), Germania (82), Svezia (10) e Inghilterra (62,5).
Bene – si fa per dire – se nel 2007 in Italia la spesa sanitaria pubblica incideva per il 6.3% sul prodotto interno lordo (Pil), nel 2015 questa incidenza era del 6.8%. Negli stessi otto anni – 2007/2015 – in Francia passava dal 7.8% all’8.6%, in Germania dal 7.6% al 9.4%, in Svezia dal 6.6% al 9.3% e in Inghilterra dal 6.2% al 7.7%. Un punto percentuale di Pil italiano, per capirsi, vale circa 16.5 miliardi di Euro.
Nel 2015, quindi, la spesa sanitaria pubblica pro-capite era di 2.230 Euro (112 euro in meno che nel 2007). In Francia 3.166 Euro (+282), in Germania 4.056 Euro (+1.040), in Svezia 4.107 Euro (+1.276) e in Inghilterra 2.968 (+618).
Per semplificare, su un indice pari a 100 ricavato dalla media della spesa sanitaria pubblica pro-capite nei cinque Paesi europei considerati, nel 2015 l’Italia ha speso 67, la Francia 97, la Germania 123, la Svezia 124 e l’Inghilterra 90. Ma non solo. L’Italia è l’unico dei cinque Paesi europei che fra il 2007 e il 2015 ha avuto una variazione annuale reale negativa del -1.3% nella spesa pubblica pro-capite. A fronte – ogni anno – del +1.3% della Francia, +3.9% della Germania, +1.4% della Svezia e + 1.0% dell’Inghilterra.
Andazzo preoccupante, perlomeno. E coerente con il boom dei fondi sanitari privati, contrattuali e ad adesione individuale: 305 in Italia nel 2016. Fondi ai quali aderiscono 9.154.500 lavoratori, in crescita, che guarda caso sono quelli che se lo possono permettere – dipendenti di grandi aziende o pubblici con contratti collettivi nazionali, oppure lavoratori autonomi e liberi professionisti con redditi medio alti.
Fondi che offrono prestazioni sanitarie sempre meno integrative, come sarebbe auspicabile, e sempre più sostitutive del Servizio sanitario pubblico. Fondi che comprano prestazioni sanitarie da 4-5 grandi “service” di proprietà delle assicurazioni.
Insomma se non si arresta il trend di riduzione della spesa pubblica per la sanità, entro un quinquennio ci ritroveremo senza essercene accorti dentro un sistema sanitario all’americana: poche prestazioni sanitarie pubbliche di bassa qualità per i più poveri, e tutto il resto in mano alle assicurazioni con prestazioni diversificate a seconda delle fasce di reddito. A Grosseto, in Toscana, in Italia.
Dal che si deduce che il nemico pubblico numero uno non è il Servizio sanitario nazionale, ma l’evasione fiscale che sottrae all’erario – e quindi a tutti noi – 150 miliardi di redditi all’anno, a voler essere prudenti.
In questi anni la crisi economica e poi la bassa crescita hanno fatto un pezzo del lavoro sporco. Ma molti ci hanno messo del loro, da chi ha evaso sistematicamente le tasse a chi ha costruito a tavolino la “narrazione” di una sanità pubblica inefficiente (semplificazione grossolana) per alimentare il mito della sanità privata, avendo ben chiaro dove voleva andare a parare. Fino a chi si è adeguato alla vulgata senza farsi troppe domande scomode.
La riorganizzazione del Servizio sanitario regionale in Toscana è senz’altro lacunosa. Ma alla fine della fiera la decisione su quale modello privilegiare andrà presa. Per la sanità ma anche per la scuola, per le pensioni e per il welfare. È bene prendere coscienza che una delle variabili dipendenti è l’evasione fiscale. E che non affrontarlo comporterà per la maggioranza un prezzo salatissimo.